Siamo in Europa? Parrebbe di sì!
Sulla tariffa di igiene ambientale (TIA) non va applicata l’IVA. Lo ha deciso la Corte costituzionale con sentenza n. 238/2009 che ha cancellato la norma che aveva istituito l’IVA sulla TIA, ex TARSU (tassa di asporto rifiuti solidi urbani), poiché anche la TIA è un tributo. Occorre riassumere la vicenda.
Dal 2010 in molti Comuni sparirà la tassa sui rifiuti, che sarà sostituita dalla “tariffa”, prevista dal decreto legislativo n. 22/1997 con il nome eufemistico di “tariffa d’igiene ambientale”, più volte slittata. In altri Comuni è già applicata e siccome non è più tassa, ma tariffa, viene caricata l’IVA del 10 per cento. Per le famiglie è un altro rincaro, in media 15 euro, dovuto soltanto ad un cambiamento di nome, ma l’applicazione dell’IVA in questo caso è illegittima nonostante sia stata subdolamente autorizzata dall’articolo 6, comma 13, della legge n. 133/1999. Pur avendo cambiato nome, la TIA non è un corrispettivo di natura contrattualistica, è invece un prelievo al quale il consumatore non può sottrarsi poiché l’articolo 49 del decreto legislativo n. 22/1997 ha stabilito che è tenuto al pagamento della tariffa “chiunque occupi oppure conduca locali … a qualsiasi uso adibiti”. In questo caso gli articoli 4 e 5 della Direttiva CE n. 388/1977 hanno escluso l’imponibilità IVA e una Direttiva comunitaria prevale sulla legge italiana, come ha ripetutamente sentenziato la Corte di giustizia europea e, ora, la Corte costituzionale ha cancellato la norma.
Più complesso è il problema della restituzione dell’IVA addebitata agli utenti. Sulla materia si attendono istruzioni della Agenzia delle entrate, ma a rigore la restituzione non dovrebbe avere luogo per i dieci anni precedenti, come è stato scritto, ma a partire dal 24 luglio 2009, giorno in cui è stata depositata la sentenza della Corte costituzionale.
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